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Quando noi eravamo loro

La Pampa Gringa - Emigrazione piemontese in Argentina

Nella provincia di Córdoba, tra San Francisco e Santa Fe, si concentra la più vasta comunità di piemontesi, discendenti di quei contadini che, tra fine Ottocento e i primi decenni del Novecento, emigrarono in Argentina in cerca di fortuna. Una fortuna spesso millantata dai trafficanti di uomini e di sogni, in un’ambiente selvaggio quanto stupendo.

Il Governo argentino arrivò ad anticipare ai contadini immigrati le spese di viaggio dal porto di sbarco ai luoghi di destinazione.

Servivano braccia robuste per colonizzare territori immensi, nel 1905, nell’area di Córdoba, gli italiani costituivano l’80% dei proprietari agricoli della provincia, con una preponderanza massiccia di emigrazione piemontese.

Infatti la condizione economica italiana era disastrosa. Situazione maggiormente peggiorativa nelle vallate del Canavese e del Cuneese. Terre povere con una condizione economica molto precaria. 

Bisognava emigrare. Ultima «affinità» con il paesello, la terra natia era il dialetto. Una cordone ombelicale lessicale che permetteva di farsi capire (l’italiano non era molto praticato) e tentare di gestire la malinconia, la vita grama e le fatiche di un nuovo luogo: la Pampa Gringa, la provincia di Santa Fe de la Vera Cruz.

Il Piemonte, nel periodo 1850 – 1920, è stata la realtà italiana, da cui sono partiti più emigranti. Dal 1860 alla alla Grande Guerra, circa un milione e mezzo di piemontesi cercarono fortuna altrove. Come sottolinea Elena Di Salvo nell'approfondimento L’emigrazione di massa italiana fra Ottocento e Novecento: aspetti economici e sociali del caso piemontese, apparso su  EyesReg, Vol. 11, N. 2, Marzo 2021, il nostro territorio: 

 

Nonostante fosse più sviluppato rispetto ad altre parti del Piemonte e del Regno Sabaudo, le crisi economiche della metà dell’Ottocento, lo sviluppo demografico, la concorrenza economica dei prodotti stranieri, costrinsero molti a lasciare i loro borghi natii, soprattutto nelle zone più rurali. L’economia agricola canavesana, e quindi anche eporediese, di quei tempi era basata sulla piccola proprietà che, per effetto delle divisioni ereditarie, diventava insufficiente per soddisfare le più elementari necessità esistenziali. L’emigrazione nel Canavese arrivò a svuotare intere borgate premontane, come Ingria, a pochi chilometri da Pont Canavese, che vide la sua popolazione scendere dalla 1.201 unità del 1901 alle 398 alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso. 

Sergio Donna, Presidente dell’Associazione Monginevro Cultura, ben riassume il contesto sociale e storico che ha trasformato i piemontesi emigrati, in colonna portante della società argentina: 

 

Nel 1905, nell’area di Córdoba, gli italiani costituivano l’80% dei proprietari agricoli della provincia. Ed è proprio qui che si è concentrata la più massiccia comunità di piemontesi immigrati in Argentina. Questi contadini, spesso non scolarizzati, si esprimevano soltanto (o prevalentemente) in lingua piemontese, cioè nella loro lingua madre. Il piemontese diventò poco alla volta, la comune koinè di appartenenza, espressione di una identità culturale condivisa.

Era d’altronde quella la lingua che essi parlavano nella piccola Patria d’origine, e in questa lingua continuarono ad esprimersi in famiglia e tra loro anche nel Paese che li accolse. Sono passate diverse generazioni da allora, ma la lingua piemontese resta da quelle parti la seconda lingua più parlata dai residenti.

E se è vero che oggi i discendenti di quei pionieri piemontesi parlano correntemente lo spagnolo, è anche vero che i più non hanno dimenticato la lingua dei loro progenitori. Anzi. E ciò si deve all’attività e all’impegno di numerose Associazioni culturali e ricreative argentine (Famije Piemontèise, Familias Piamontesas) che rappresentano un punto di riferimento culturale e sociale per le famiglie piemontesi d’Argentina. Esse s’impegnano con passione per  mantenere vive le tradizioni degli antenati, e la loro lingua antica, organizzando convegni, corsi di piemontese, feste del Piemonte, con un interesse crescente per la cultura, le tradizioni e la storia della Patria d’origine, mai dimenticata.

 

 

 

Proprio questi antichi legami saranno riannodati dal 31 Ottobre al 15 Novembre prossimi. Alcune associazioni torinesi saranno protagoniste di un viaggio culturale per consolidare questo secolare rapporto. Infatti: 

In collaborazione con la FAPA, Federazione delle Associazioni Piemontesi in Argentina, e grazie ai costruttivi contatti intrattenuti tra il presidente della FAPA, Edelvio José Sandrone (insieme alle docenti di Lingua Piemontese in Argentina Laura Moro e Sandrina Gaido) ed i presidenti delle Associazioni Culturali torinesi “Piemonte Cultura” e “Monginevro Cultura” (rispettivamente Bruno Donna e Sergio Donna) si è potuto organizzare un viaggio nella Pampa Gringa, cuore dell’immigrazione piemontese in Argentina.

 

Le due Associazioni interverranno in veste di “ambasciatrici” della cultura piemontese in Argentina. 

In tutto, una delegazione di 24 piemontesi, che porteranno in Argentina animazione, danze, teatro, ma anche seminari e conferenze in Lingua piemontese.

La presenza più consistente è quella di Piemonte Cultura, che interverrà con il suo gruppo di danze tradizionali “Ij Danseur dël Pilon”. Al suono dell’organetto diatonico del M° Rinaldo Doro e del violoncello di Beatrice Pignolo, “Ij Danseur” coinvolgeranno i Piemontesi d’Argentina in trascinanti danze tradizionali del Piemonte ed esilaranti sketch di teatro popolare.

Un percorso che Casa Bracco seguirà attentamente, ricordando i versi di Nino Costa, che tanti anni fa omaggiava i nostri migranti con queste profetiche parole:


Aj Piemunteis ch’a travajo fora d’Italia

 

Drit e sincer, cosa ch’a sun, a smijo:
teste quadre, puls ferm e fìdic san
a parlo poc ma a san cosa ch’a diso
bele ch’a marcio adasi, a van luntan.

 

Sarajé, müradur e sternighin,
minör e campagnin, sarun e fré:
s’a-j pias gargarisé quaic buta ed vin,
j’é gnün ch’a-j bagna el nas per travajé.

 

Gent ch’a mercanda nen temp e südur:
– rassa nostrana libera e testarda –
tüt el mund a cunoss ch’i ch’a sun lur
e, quand ch’a passo … tüt el mund a-j guarda:

 

Biund canavesan cun j’öj colur del cel
robüst e fier parej d’ij so castej.
Muntagnard valdostan daj nerv d’assel,
mascc ed val Süsa dür cume ed martej.

 

Face dle Langhe, rubie d’alegrìa,
ferlingot desciulà d’ij pian versleis,
e bieleis trafigun pien d’energìa
che per cunossje a-i va set ani e un meis.

 

Gent ed Cuni: passienta e un poc dasianta
ch’a l’ha le scarpe grosse e el servel fin,
e gent munfrina che, parland, a canta,
ch’a mussa, a fris, a böj … cume ij so vin.

 

Tüt el Piemunt ch’a va serchesse el pan,
tüt el Piemunt cun sua parlada fiera
che ant le bataje del travaj üman
a ten auta la frunt … e la bandiera.

 

O biunde ed gran, pianüre dl’Argentina
“fazende” del Brasil perse an campagna
i sente mai passé n'”aria” munfrina
o el riturnel ed na cansun ed muntagna?

 

Mine dla Fransa, mine dl’Almagna
che el füm a sercia an gir parej ed na frangia,
vujaute i pöle dì s’as lo guadagna,
nost ovrié, cul toc ed pan ch’a mangia.

 

Quaic volta a turno e ij sold vansà ed bun giüst
a-j rendo un ciabotin o un toc ed tera
e anlura a anlevo le sue fiëte ed süst
e ij fiolastrun ch’a l’han vinciü la guera.

Ma el pi dle volte na stagiun perdüa
o na frev o un malör del so mesté
a j’incioda ant na tumba patanüa
spersa ant un camp-sant foresté.

Rassa nostrana

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