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Più volte, da parte di alcuni Amici di Casa Bracco, è stata reiterata la richiesta di una piccola bibliografia su Issiglio. Il luogo che custodisce il convivio.


Orbene, come sapete Casa Bracco promuove una serie di iniziative che non vogliono essere localizzate in un punto specifico del Canavese, sarebbe limitante ed anche essenzialmente miope; insomma un di atto di maldestro narcisismo editoriale.


Fondamentalmente, la ricerca bibliografica su una località così piccola può ingenerare quel fascino perverso dell’invenzione della tradizione, che è stato magistralmente descritto dagli storici Eric Hobsbawm e Terence Ranger nell’omonimo testo. 


La “grande storia”, per quello che ne sappiano, ha lambito e non toccato direttamente il territorio issigliese, non si hanno notizie e soprattutto fonti certe e organiche, se non a partire da quelle enigmatiche Passeggiate nel Canavese del 1869 del Bertolotti. 


Certo, tracce e scampoli, andando molto in profondità negli archivi di Stato e vescovili (dove sono stati versati molti documenti), potrebbero anche essercene ma soggiace sempre una domanda di fondo: vogliamo crearla la tradizione, vogliamo gestire un processo narrativo pseudo storico oppure ci limitiamo a prendere appunti su quello che forse è successo? Sono cose assai diverse.


È un fenomeno (ahinoi non solo locale), che già a partire dal Bertolotti, di cui la divulgazione storica non è sempre stata accompagnata dalle stesse pretese documentali,  da un’efficacia fattuale e soprattutto da una chiarezza di intenti della storia, se vogliamo definirla accademica. 


Un libro storico su Issiglio se manifestamente indicato come tale, ha le stesse pretese di completezza intellettuale di un qualunque altro lavoro di ricerca, altrimenti diviene prosa. Difformemente, diviene una raccolta di brevi cenni sull’universo issigliese, una sorta di folklore che spiazza il lettore (quasi fosse un territorio magico di fate e gnomi) e avvilisce lo storico. Sforzi di limpidezza che (ogni tanto) appaiono vani. 

Ad esempio nel dicembre 2024 l’opuscolo Issiglio. Passeggiata alla scoperta del paese e della sua storia attraverso racconti, immagini e curiosità di Antonio Bertolino editato dall’Amministrazione comunale è (l’ultima) sorta di prova di tutto ciò. 
Libretto agile, ma di narrativa turistica non certo storica. Un documento di folklore; un po' -scusino gli amici romani-, come etichettare per veritieri i gladiatori da selfie al Colosseo o l’amatriciana con la panna e pancetta.  


Un plauso all’Amministrazione che si è promossa quale editore, che ha valorizzato un percorso, tuttavia -consiglio spassionato- è di non porre vicino a Issiglio. Passeggiata alla scoperta del paese e della sua storia attraverso racconti, immagini e curiosità il saggio storico e artistico San Pietro di Issiglio di Guido Forneris, altrimenti l’autocombustione è certa. 
La storia non è folklore ed è un vero peccato non accorgersene. Tantopiù che la si può fare per argomenti molto dissimili, ma con una nettezza e limpidezza intellettuale eccellente, volta al racconto e narrazione di un certo romanticismo dei luoghi, uno fra tutti il bellissimo Il cammino del progresso sempre di Antonio Bertolino, però evidenziamo: ricordo, non storia. 


Un po' come Il Canavese tra Pedanea e Valchiusella dai Salassi ai malgari, che fa sospirare per le bellissime foto del Formica, un po' meno per i testi di Argentero; una sorta di prêt-à-porter intellettuale e non certo abito di sartoria.
Nel campo dell’esercizio storiografico, possiamo prendere ad esempio come elementi fondanti altri testi. Oltre al monumentale Forneris, ritroviamo le opere sul ciclismo canavesano di Paolo Ghiggio Valle del Manubrio, che nel settore della storia sportiva ha magistralmente indagato sui campionissimi due ruote della Valchiusella; oppure Sogni e ferrovie in Canavese e valli di Lanzo di Pier Luigi Boggetto, spaccato immenso di storia economica e sociale, sorretta da considerevoli approfondimenti archivistici (qui la nostra recensione e incontro con l’autore).


Occorre dire, giusto per dovere di cronaca, che questa voglia di narrare -quasi incantare- il lettore sul territorio in questione, non è fenomeno nuovo. Sorta di romanticismo molto minore, eredità di quella inurbanizzazione che nel Novecento lasciava le campagne all’oblio. In più il solco olivettiano ha lasciato come “scoria” questa voglia di narrare, di creare la tradizione un po' come il Bertolotti cent’anni prima. Laghi scomparsi, uomini selvatici, riti celtici e datazioni labili, non fanno bene il lavoro di ricerca storica, che non ha bisogno di essere memorialistica, ha bisogno di essere semplice, fruibile e concreta.

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